L’ETICA 2.0 AI TEMPI DEL “VILLAGGIO GLOBALE”

di Roberto Dosio*

 

 

 

Chi lavora per il pubblico impiego, e a maggior ragione chi indossa una divisa, deve essere consapevole che sia durante il servizio sia al di fuori di esso, nella vita privata, deve tenere un comportamento consono al ruolo che socialmente riveste.

Questo negli anni è stato imposto da norme e regolamenti speciali di servizio.

Per quanto riguarda gli appartenenti delle Forze Armate e di Polizia quanto appena scritto ne ha sempre condizionato la vita extralavorativa sul come atteggiarsi, come vestirsi, quali luoghi frequentare, con quali tipologie di soggetti intrattenersi ecc…..

Più in generale il Legislatore ha adottato, per tutti i pubblici dipendenti più norme che hanno condotto alla formulazione di alcuni articoli fondamentali in materia di comportamento sia all’interno sia all’esterno del lavoro.

Tra le tante norme ciò che merita particolare attenzione è l’ultima parte del 1° comma dell’art 10 del “Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici”, adottato con D.P.R. 62/2013, in cui viene disposto che il dipendente “non assume nessun altro comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione”.

Un principio generale che non fa riferimento a condotte tipicizzate vietate ma che rimanda ad un universale senso etico di condotta rivolto a chiunque abbia un rapporto di dipendenza con lo Stato. Comportamenti, atteggiamenti, espressioni dell’intelletto che devono essere eticamente corretti come strumento di salvaguardia del bene primario che deve essere tutelato: la fiducia del cittadino verso le istituzioni.

Ciò che si evidenzia è che se precedentemente ciò che si cercava di “regimentare” erano soprattutto gli atti che si potrebbero definire materiali (comportamenti, atteggiamenti, modi di vestire, frequentazioni poco appropriate) oggigiorno anche ciò che potrebbe appartenere al mondo dell’immateriale: opinioni, condivisioni di amicizie o di siti, scambi di informazioni può diventare potenzialmente dannoso per l’immagine dell’amministrazione a cui si appartiene.

Questo mondo dell’immateriale è il cyber-spazio dove ogni idea, foto, pensiero condiviso ha una risonanza e divulgazione che fino a qualche anno addietro era inimmaginabile.

Internet, come è ben noto, è un “mondo” senza confini, ove tutti, in ogni luogo della terra e in qualsiasi momento, possono prendere visione di quanto viene scritto o pubblicato. Le opinioni personali, le foto scattate e le amicizie condivise se prima erano a conoscenza di poche e fidate persone ora sono a disposizione di chiunque e in modo incontrollato.

L’utilizzo dei social-network non deve essere considerato scevro dal rispetto di norme di comportamento previste dai codici deontologici o dai regolamenti di servizio delle singole amministrazioni o dei corpi di appartenenza. E’ in dubbio che pochi fino a questo momento si sono posti il problema di adeguare le normative di deontologia e di etica anche al mondo immateriale del cyber-spazio. Il legislatore fino a questo momento non ha previsto nulla in tal senso potendosi tuttavia rimandare alle norme generali come scritto sopra.

Tuttavia qualcosa si sta muovendo in tal senso e, come spesso accade, si rimanda alla giurisprudenza il compito di colmare i vuoti lasciati dal legislatore. In merito si pone l’attenzione su una recentissima sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia depositata il 12 dicembre 2016 (sez. I, sentenza n. 562/16 – Presidente/Estensore Zuballi), un caso giurisprudenziale molto interessante in materia di utilizzo dei profili sui social-network dei pubblici dipendenti e del potenziale pericolo di un danno di immagine dell’amministrazione di appartenenza, coinvolgendo i principi costituzionali sulla libertà di pensiero e del buon andamento e imparzialità dell’amministrazione.

La sentenza mette in evidenza in primo luogo, che seppur deve essere preso in esame un contemperamento tra gli obblighi del dipendente verso l’amministrazione di appartenenza e la libertà di pensiero, tuttavia, il suo agire non deve mettere in pericolo il rapporto di fiducia tra il cittadino e l’amministrazione in generale e, se necessita, il pubblico dipendente deve procedere per vie interne in caso si riscontrino problemi; in secondo luogo, che i social-network come Facebook non devono essere considerati strumenti di comunicazione privati ma pubblici e che, pertanto, ciò che si intende pubblicare deve rispettare a pieno i principi etici a cui sono ispirati i codici di comportamento del pubblico impiego giacché i contenuti possono essere diffusi in modo incontrollato senza che il titolare del cd. profilo possa impedire usi distorti, speculazioni o danni di immagine per la pubblica amministrazione.

A tale sentenza si aggiungono anche alcune circolari ministeriali sul tema tra cui la circolare del Ministero dilla Giustizia datata 20 febbraio 2015 avente ad oggetto: precisazioni sull’uso dei social network da parte del personale dell’Amministrazione Penitenziaria. In essa il Ministero precisa che il dipendente soggiace a norme di comportamento deontologico e, pertanto, il suo pensiero espresso tramite internet nella eventualità che leda il rapporto fiduciario tra lui e l’amministrazione di appartenenza fa sorgere su di esso provvedimenti di carattere disciplinare. Il rapporto fiduciario viene meno quando il dipendente viola la riservatezza con danno alla immagine, alla continuità e regolarità dell’azione dell’Amministrazione.

In ultimo la circolare si conclude ricordando agli le informazioni personali condivise sui social network possono mettere in pericolo la sicurezza stessa Amministrazione oltre alla incolumità degli Operatori.

Quest’ultimo punto è stato ripreso il 7 febbraio 2017 in una nota dell’Ufficio del Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria rivolta ai responsabili dei Reparti Operativi Mobili per il tramite delle Direzioni di alcuni Istituti sparsi sul territorio nazionale, avente ad oggetto: Allerta per possibili azioni ritorsive nei confronti delle Forze dell’Ordine – Caccia allo Sbirro. In tale documento veniva fatta menzione dell’esistenza di un sito denominato “Caccia allo sbirro”, gestito da appartenenti di estreme sinistra, all’interno del quale esiste una sezione dedicata alla raccolta di immagini e informazioni generali di appartenenti alle Forze dell’Ordine.

Si avvisava i destinatari che le notizie oggetto di raccolta possono essere estrapolate dai social network ai quali molti appartenenti dell’Amministrazione Penitenziaria sono iscritti e sui quali riversano foto e informazioni personali e sul lavoro svolto. Si invitava i responsabili a sensibilizzare gli Operatori ad “evitare la pubblicazione di foto che li ritraggono in divisa sia come immagine profilo facebook, istagram, twitter, ecc. sia a postarle all’interno di social-gruppi collettivi, invitandoli ad attivare le restrizioni di massima privacy consentita da tali siti web, a tutela della loro incolumità”.

 

* Roberto Dosio, Dottore in Giurisprudenza, Ufficiale di Polizia Locale.
Referente Cerchio Blu dell’Area Nord Ovest Italia (Piemonte, Val d’Aosta, Liguria).
Mail: roberto.dosio@cerchioblu.org