Pensavamo che le vittime dell’attentato del 2001 alle Torri Gemelle fossero solo quelle tremila anime sepolte dalle macerie, ma stiamo via via scoprendo che il fenomeno si presenta ben più articolato.
Non morirono solo occupanti delle torri, passeggeri degli aerei e forze del soccorso rimasto intrappolato dal crollo: a distanza di 13 anni muoiono ancora oggi numerosi soccorritori che si sono ammalati dopo essere stati esposti a micropolveri e sostanze nocive liberate nell’area del disastro.
Quegli edifici sgretolati e molti veleni chimici variamente presenti nell’aria sono entrati nei corpi di chi ha lavorato per riportare la zona alla normalità e nel tempo in molti hanno iniziato a manifestare sintomi fisici: semplici eruzioni cutanee o asma nei casi meno gravi, cancro a polmoni, apparato respiratorio e digerente in molti altri.
Ne parla il “New York Post”, dove si legge che dal giorno dell’attentato il numero di persone ammalate di cancro è salito a 2.500; fino allo scorso anno erano un migliaio, quindi in appena dodici mesi la cifra sarebbe più che raddoppiata. Dati impressionanti che si riferiscono a poliziotti, vigili del fuoco, paramedici, dipendenti comunali e volontari che in quei giorni si diedero da fare per prestare soccorso.
Molti di questi soccorritori stanno chiedendo risarcimenti… alcuni in modo anche infondato, ma non è questo il punto.
Chi lo avrebbe mai immaginato?
Questa è la domanda da porsi oggi.
Il tempo d’intervento di poliziotti e soccorritori è innegabilmente legato alla dimensione dell’emergenza e alla distanza da percorrere dal momento della chiamata: gli equipaggi sono abituati a non perdere minuti preziosi e -letteralmente- si precipitano dove è richiesto il loro aiuto. Certo salvaguardando la loro sicurezza durante il tragitto, ma l’obiettivo è arrivare nel teatro ed iniziare ad operare.
E quando si è sul posto, le priorità cambiano e l’autoprotezione non sempre occupa uno dei primi posti nell’elenco delle cose da fare.
Che si parli di volontari o di professionisti, non è raro che l’energia interiore che spinge i soccorritori li porti a sottovalutare alcuni rischi o a non occuparsene nell’immediato poichè in quel momento sono altre le priorità.
Altre volte (molto più spesso) accade che gli equipaggi non siano dotati di dispositivi minimi di autoprotezione per evitare il contatto o l’esposizione a sostanze pericolose durante i primi momenti di un’emergenza perchè quell’evento non è stato minimamente inserito in un protocollo d’intervento. Di conseguenza, ciascuno fa ciò che può con ciò che ha sottomano e con tanta buona volontà.
I maxidisastri possono però insegnare molto, soprattutto se “sono accaduti agli altri”, perchè lo studio di cosa è avvenuto e di come si sono comportate le forze in campo costituiscono un importante base per pianificare gli interventi futuri.
Interventi che sicuramente avevano caratteristiche tipiche particolari ed originali, ma che certamente potranno avere alcuni tratti in comune con ciò che è già accaduto e perciò con ciò che altre organizzazioni hanno fatto.
Le malattie incurabili che stanno colpendo oltre 2.500 soccorritori a 13 anni dal loro intervenuto nel teatro dell’attentato alle Torri Gemelle possono e devono ispirarci alcune riflessioni, per aiutarci a stilare una check-list di minima sugli aspetti sui quali focalizzarsi. Ne elenchiamo alcuni
- verificare le particolarità del proprio territorio per capire da quali transiti è interessato: un’importante autostrada o una linea ferroviaria sulla quale transitano merci pericolose, viadotti, impianti e stabilimenti che producono o trattano sostanze particolari, …
- mappare gli snodi strategici e le zone di particolare attenzione, dove con maggiore probabilità saranno dislocate forze dell’ordine a presidio o per filtrare arrivi e movimentazioni (es: importanti incroci, vie di collegamento, …)
- individuare i rischi specifici ai quali il territorio potrebbe essere esposto (incidente stradale di veicolo che trasporta merci pericolose, incidente industriale, disastro ferroviario, esondazione con interessamento di aree particolari come ad esempio discariche o depositi, …)
- analizzare il contenuto del piano comunale di protezione civile per meglio comprendere quali sono le particolarità del territorio e in quale modo è previsto vadano affrontate eventuali le emergenze, prestando attenzione sia all’evento in sè (es: scoppio di un distributore di carburante) sia alle implicazioni che esso determina (es: gestione delle persone evacuate, necessità di gestire contemporaneamente più aree critiche, …)
- studiare i disastri già accaduti per capire COSA sia avvenuto, in quali TEMPI, come siano intervenuti i SOCCORRITORI (da quali zone e direzioni, in che quantità, attività,…), quale sia stato lì’impatto sui CITTADINI delle zone circostanti
- verificare se durante le maxi emergenze del passato i soccorritori sono stati esposti a rischi specifici o a emissioni che, se non evitabili, potevano perlomeno essere ridotte adottando particolari accorgimenti, sistemi o strumenti (es: distanze minime, dispositivi di protezione anche monouso, agenti o sensori rilevatori, …)
- identificare e formalizzare le migliori pratiche adottate in altri scenari, condividendole tra tutti i soggetti interessati affinchè ciascuno sappia non solo cosa fare, ma anche cosa gli altri probabilmente faranno.
Perchè le attività per affrontare l’emergenza vanno preparate in tempo di quiete affinchè la tempesta, se e quando arriverà, non ci trovi impreparati.